Whisky: da clandestino ad ospite d’onore
Storia di repressioni, rivolte e riscatti.
I rapporti tra irlandesi e scozzesi non sono mai stati idilliaci e da secoli discutono su ogni argomento, tra questi la paternità della nascita del whisky.
Di certo sappiamo che, quando l’esercito di Enrico II d’Inghilterra, invase l’Irlanda agli inizi del XII secolo, gli inglesi vennero alla scoperta dell’ uisce beatha (acqua vite in gaelico), il cui nome impronunciabile presto mutò nel corso del tempo: inizialmente uisce, poi fuisce, di seguito uiskie ed infine whisky: è l’inizio di una storia legata a sentori di torba e bevute clandestine.
Siamo agli inizi del XVI secolo, i re scozzesi combattevano per difendere la propria indipendenza ed il popolo dirottava i carichi di cerali per produrre l’amato distillato, tanto da indurre il Parlamento inglese ad introdurre tasse e restrizioni; elementi che portarono alla nascita di numerose distillerie illegali.
Un secolo dopo nella solo Edimburgo si contavano più di 400 distillerie clandestine contro le appena 8 autorizzate: la Scozia era diventata ormai sinonimo di whisky.
Dal 1823 le attività tornarono legali e distillerie come Ardbeg, Highland Park e Glenlivet poterono modernizzare i loro impianti ed imprenditori del calibro di James Chivas e George Ballantine, si lanciarono alla conquista del mercato mondiale attraverso una linea di blended.
Il Risorgimento “alcolico” fu presto interrotto dallo scoppio della Grande Guerra e successivamente dal Proibizionismo americano. L’amata terra d’oltreoceano aveva voltato le spalle ai propri coloni fondatori.
Maryland, Virginia, Carolina del Nord e Pennsylvania devono i propri natali ad immigrati scozzesi ed irlandesi che le fondarono intorno al 1600, per poi ribellarsi alla corona inglese e dare vita ai primi tredici stati confederati degli U.S.A.
Una storia di conquiste, ribellioni e saloon dove coraggiosi pianisti suonavano folkloristiche ballate per cacciatori di pelli, cowboy, uomini d’affari e sceriffi.
Erano gli anni in cui i duelli si svolgevano a mezzogiorno e i tavoli erano pieni di distillati di segale e mais, motivo per cui nel 1771 il Governo federale decise di tassare le bevande alcoliche, dando vita alla poca nota “rivolta del whiskey”. Poco celebre quanto cruenta.
I distillatori della Pennsylvania iniziarono una vera e propria strage di agenti, tanto da costringere George Washington ad inviare i militari per risolvere il conflitto e recuperare le tasse.
Molti distillatori si rifiutarono di pagare e si trasferirono verso ovest nello stato che poi diventerà il Kentucky.
Curiosità? Lo stesso presidente americano, terminato il mandato fondò con i suoi risparmi una distilleria nei pressi di Mount Vernon.
Nel 1802 il nuovo presidente, Thomas Jefferson, abolì tutte le tasse relative al whisky e a partire dal 1840 il Bourbon venne riconosciuto e commercializzato come il whiskey americano. Sembrò l’inizio di una splendida avventura, che venne nuovamente interrotta con il XVIII emendamento del 17 gennaio 1920. Erano iniziati gli anni del proibizionismo.
Leghe antialcoliche e lobby di conservatori ebbero l’illusione di aver vinto l’acerrimo nemico, ma ben presto si rese evidente che il desiderio di bere era più forte della dura repressione messa in atto dal Governo.
Federali sequestravano migliaia di barili di bourbon distruggendo decine di distillerie clandestine, mentre piccole organizzazioni criminali organizzavano feste private negli Speakeasy.
Un decennio di sparatorie e sequestri terminati con la “riabilitazione” del whisky, che da quel momento in poi iniziarono una lenta ed inarrestabile ripresa. Siamo a metà del XX secolo ed il Johnnie Walker Black Label era la bevanda preferita di Winston Churchill.
Il riscatto della bevanda più clandestina del mondo.
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