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La magia della terracotta: vini di pregio e filosofia enologica
Nella vivace e divertente novella “La Giara” di Luigi Pirandello, lo scrittore siciliano racconta la disavventura di Don Lolò Zirafa, il quale non contento delle quattro giare già possedute, prevedendo un ricco raccolto di olio decide di farsene costruire una quinta, che però viene ritrovata rotta il giorno seguente all’acquisto. L’iniziale disperazione si trasforma nella necessità di aggiustare il prezioso contenitore che Zi’ Dima Licasi, il “conciabrocche” ed inventore di un mastice miracoloso promette di riparare, rimanendo però intrappolato all’interno dello stesso, iniziando un turbolento e surreale contezioso legale che terminerà con il ricco ed avaro proprietario terriero distruggere l’amata giara.
Una storia intensa di significato che rappresenta una delle pagine più belle della letteratura italiana e nello stesso tempo ci dimostra quanto fino a pochi decenni addietro i grandi vasi in argilla fossero preziosi. L’anfora ha una storia antichissima, con i primi esemplari datati oltre 8.000 anni fa e che per millenni ha fornito a commercianti un valido strumento per trasportare olio, cereali, vino ed altre materie prime. In Georgia, primo territorio al mondo in cui la vite è stata addomesticata e vinificata, questo straordinario e poliedrico recipiente ha permesso per oltre 5.000 anni di produrre grandissimi vini, con un metodo di produzione che nel 2013 è divenuto Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO.
Tra i monti del Caucaso ed il mar Nero i contadini ancora oggi creano e custodiscono i loro vini in enormi otri di terracotta (Qvevri) che per la loro grandezza (mediamente 1.000 litri) ed evitarne la rottura, vengono interrati garantendo nello stesso tempo il mantenimento di una temperatura costante sia in fase di fermentazione che di maturazione ed affinamento.
Ricoperti all’interno da un sottile strato di cera d’api al fine di limitare l’evaporazione e lo scambio con l’ambiente esterno, hanno rappresentato per secoli un elemento di modernità nel mondo enologico finché legno, cemento ed inox hanno lentamente fatto precipitare questa antica tecnica in un profondo oblio. Oggi la frenetica ricerca di metodi tradizioni e l’isterico ritorno alle “origini” del vino sta portando molti produttori a proporre fermentazioni creative con la ricomparsa delle anfore in terracotta. Un arcipelago ricco (a volte) di contraddizioni e storytelling basati sull’emotività creata dalla visione di grandi vasi panciuti che porta confusione e poca memoria storica, perché questa tipologia di vinificazione è molto più di una moda, ma una filosofia che vede nell’affinamento uno spazio prezioso per esaltare le qualità del vino.
La terracotta è infatti un materiale difficile da gestire: tanto delicato quanto eterno, poroso ma allo stesso tempo ermetico ed isolante, complicato nell’igienizzazione quanto sicuro nella neutralità, elementi che diversi produttori anche italiani stanno iniziano a padroneggiare proponendo delle etichette di assoluto pregio e qualità. I vini in anfora sono un comparto che sebbene rappresenti ancora una piccolissima nicchia di mercato (2,5%) inizia ad attirare un numero crescente di estimatori e curiosi con una crescita annua del +35% tra i giovani con età compresa tra i 18 e 25 anni.
Quinti attenzione alle cattive imitazioni e se amate immergervi in calici capaci di esprimere arcaiche sensazioni esigete che siano autentiche!
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