L’Italia e gli Amari: un connubio vincente
Analisi e prospettive del famoso liquore alle erbe.
Storia dell’Amaro
Associare l’Amaro a paesaggi desertici, palme e piccole oasi più potrebbe sembrare un inutile esercizio di fantasia, ma se oggi possiamo sorseggiare con questo liquore dopo un pranzo o una cena lo dobbiamo al medico e chimico al-Rāzī che nel X secolo d.C. operò importanti e rivoluzionarie cure per l’ospedale di Baghdad grazie a “pozioni” ottenute mescolando vino con erbe medicinali capaci di guarire diverse malattie.
Qualche decennio più tardi Ibn Sīnā, anche lui dottore persiano, perfezionò la scienza degli infusi utilizzando l’arte della distillazione per creare tisane più efficienti, attraverso la sperimentazione di diverse spezie, erbe e fiori da poter impiegare nella cura della persona.
Una moltitudine di tentativi che nella maggioranza dei casi non ha prodotto risultati significati, ma ebbero il merito di generare centinaia di ricette, portate successivamente (intorno al 1100) nella città di Salerno nella neofondata Scuola Medica, dove vennero studiati documenti, pergamene e libri degli alchimisti arabi.
Nuovi studi e nuove ricette portarono le antiche formule ad essere arricchite di nuovi ingredienti come radici ed aromi.
Isolati monasteri e dotti abati continuarono la tradizione orientale di utilizzare l’amaro come rimedio alle umane fragilità del corpo, finché Caterina de’ Medici rivoluzionò il mondo del bere proponendo questo elisir come un semplice momento di piacere, iniziando un percorso di conoscenza nelle diverse corti europee fino a giungere nel 1737 con la nascita del Chartreuse Verte, prodotto per il solo scopo edonistico.
L’amaro aveva abbandonato il camice bianco per diventare un buon compagno di serate passate in convivialità.
Un sapere ben presto diventato popolare e differenziato da regione a regione e che oggi vede anche i giovani avvicinarsi a questa bevanda grazie alla nascita di prodotti moderni ed al rilancio comunicativo dei marchi più storici.
Un mix di tradizione ed innovazione, forte di un substrato culturale che vede 1/3 degli italiani apprezzare il bicchierino dopo pasto “per digerire” (secondo i dati ISTAT l’82% lo beve dopo un pasto).
Sono passati quasi 2000 anni e l’amaro non intende cedere lo scettro!
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